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4 novembre: una festa da riscoprire

Aggiornamento: 17 dic 2018

Il centenario della vittoria è passato inosservato. Perché l’Italia ha paura dei suoi eroi?


Lo scorso 4 novembre non è stata una data qualunque. E’ ricorso il centesimo anniversario della vittoria italiana nella prima guerra mondiale sull’impero austro-ungarico sancita dall’armistizio di villa giusti. Ancora una volta l’Italia è riuscita a distinguersi. Cosa c’è di più deprimente di un popolo che nel centenario della vittoria che forgiò il suo spirito nazionale e lo fece assurgere a potenza mondiale, non è in grado di organizzare festeggiamenti degni di questo nome? Si, perché quel 4 novembre non rappresento solo una vittoria ma suggellò la nascita di uno spirito di fratellanza tra gli italiani; quelle divisioni che intercorrevano fra le varie regioni furono abbattute in quelle trincee dove seicentomila uomini, provenienti da tutta la penisola, tra cui molti ragazzi di appena 18 anni, segnarono con il loro sangue i confini della Patria, completando di il Risorgimento. Quel giorno tutti gli italiani vinsero, riscoprendosi comunità di destino, fratelli uniti da un vincolo di sangue indissolubile, rimandando al mittente le accuse che per secoli li avevano etichettati come codardi.

Per questo evento carico di questi significati non è stato organizzato nulla. Nessuna manifestazione, ne tanto meno una campagna di sensibilizzazione che preparasse gli italiani a questo evento. Le istituzioni hanno fallito, anche la scuola. In un’ intervista, l’Ansa denuncia la grave ignoranza degli studenti italiani tra i 14 e i 18 anni: alla richiesta di cosa rappresentasse per loro il 4 novembre quasi tutti hanno risposto di non sapere neanche di cosa si trattasse.

Le cause di questo retorica antinazionale che ha colpito il popolo vanno ricercate nel passato. Andiamo per ordine. Con l’ inizio della guerra tutti i socialisti iniziarono un’intensa campagna contro l’entrata in guerra, come se il problema mai risolto delle terre irridenti fosse cosa da poco. A guerra vinta il 4 novembre rappresentava la festa unificatrice degli italiani anche se continuò ad incontrare alcune resistenze dovute a specifiche tensioni sociali, coincidenti con il biennio rosso, al quale si dovettero aggiungere le proteste dei nazionalisti per la vittoria mutilata. Con la fine della seconda guerra mondiale, dopo che nel ventennio fascista il ricordo dei caduti fu eretto quasi a culto, iniziò la parabola discendente della popolarità di questa festività che cessò di essere tale nel 1977. In quell’anno il retaggio culturale sessantottino antimilitarista e pacifista-per il quale non bastano poche righe per spiegarne le cause e gli effetti sulla società contemporanea- faceva fuori un’ istituzione del sentimento nazionale popolare.

Arrivati ai giorni nostri, in una società nella quale la figura del soldato viene sempre più sminuita e ritenuta inutile e anacronistica, e che teorizza un mondo senza confini ; restituire agli italiani il diritto di celebrare i loro eroi e le proprie Forze Armate sarebbe un’azione politica rivoluzionaria e di rottura contro quelle elittes che mirano ad un mondo dove scompaiono i concetti di identità e nazione. Solo rendendo nuovamente il 4 novembre giorno festivo, poiché unico giorno che unisce veramente tutti gli italiani e abbatte le divisioni, storicamente parlando-perché è grazie alla festa che lo spirito della ricorrenza si rigenera e viene percepito dal popolo- gli italiani comprenderanno la valenza simbolica e il significato di questa data.

Questo articolo non va inteso, ovviamente, come un elogio alla guerra, che non deve essere la prima soluzione per risolvere le questioni che nascono tra i popoli, bensì come un monito , per noi studenti in primis, affinchè il ricordo di queste persone- che diedero la vita anche per garantire alle generazioni successive un futuro sicuro, che parlasse di Italia- non svanisca. Perché loro sono ancora qui, presenti, come è scalfito nel marmo del Sacrario Militare di Redipuglia, a chiederci di difendere l’Italia da tutti i suoi nemici di oggi, con il loro stesso indomito spirito.




Riccardo Natale, V I


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