Tra magia e realtà: Napoli e l’arte umanistico-rinascimentale
- giornalinoliceoumb
- 1 dic 2018
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Punto di scambio e di contaminazione artistica, nella Napoli del Quattro-Cinquecento la commistione di modi classici, mediterranei e fiamminghi trovò il suo epicentro. Sotto gli aragonesi, infatti, la città conobbe il periodo di massimo splendore artistico-letterario: non è quindi strano immaginare un grande, grandissimo flusso di letterati ed artisti che, camminando tra cardini e decumani, trovano ispirazione in un’aura quasi magica, cui fa da sfondo quello che ancora oggi è il panorama mozzafiato della città. Ed è in questo clima così ricco e vivace che sorsero alcune delle più belle opere d’arte di cui la storia abbia memoria: in tutta Italia, infatti, vi era la medesima situazione e tutte le corti, ispirate dalle grandi creazioni del mondo classico, si influenzavano tra loro. Ed infatti, come nel giardino di Palazzo Medici Riccardi a Firenze fu collocata la ‘’testa di cavallo’’ di età ellenistica, così sulla facciata destra del cortile di Palazzo Carafa a Napoli fu posta una protome equina. ‘’Tanto bella che molti la credono antica’’ scrive Vasari, che per primo attribuì la paternità della testa di cavallo napoletana a Donatello. Proprio come il clima della città in cui trovò casa, effettivamente, anche la storia di quest’opera fu per secoli avvolta da una grande ombra di magia e di incertezza. Fu forse Virgilio, con i suoi poteri straordinari, ad averla creata per guarire tutte le malattie dei cavalli del tempo? O fu donata ai napoletani dall’imperatore Nerone come espressione di ringraziamento e di ammirazione? O, ancora, fu segno della potenza di Corrado IV di Svevia che nel XIII sec. riuscì a ‘’domare’’ la città? Probabilmente la testa di cavallo nacque in un tempo ed in un modo diversi rispetto alle sue presunte, mitiche e molteplici origini. Di carattere encomiastico e parte di un monumento equestre che Donatello non ultimò mai, la testa di cavallo fu voluta dal re Alfonso V d’Aragona per celebrare il suo ingresso trionfale nella città partenopea, esponendola sull’arco trionfale del Maschio Angioino. Il progetto di Alfonso fu, però, interrotto dalla sua morte e da quella del suo intermediario con Donatello (1458) e l’opera giunse a Napoli solo parecchi anni dopo, nel 1471, come dono di Lorenzo il Magnifico all’amico Diomede I Carafa. Alta 175 cm, fatta di bronzo, avvolta da origini leggendarie e magiche, la testa di cavallo ha ornato per oltre 300 anni una delle facciate esterne di Palazzo Carafa, fin quando, nel 1809, fu donata al Museo Archeologico di Napoli, dove si trova tutt’oggi, dall’ultimo discendente dei Carafa, ancora ignaro del grande genio che si celava dietro l’opera.
Maria Elena Bile, IV I
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